Ristoranti Virtuali e Riders: il nuovo mondo del Food Delivery
1. Il nuovo mondo del food delivery in Italia
In Italia, il food delivery (o consegna a domicilio) ha raggiunto il suo picco solo negli ultimi anni rispetto ad altre parti del mondo.
La tipologia di food delivery più conosciuta e diffusa è, senza dubbio, quella che offre un servizio di consegna di pasti pronti: tramite applicazioni apposite, infatti, l’utente può scegliere dal menù del ristorante di suo interesse e ordinare ciò che più gli aggrada, pagare on-line e ricevere l’ordine comodamente a casa, consegnato da un fattorino (o rider).
Esistono due macro-classi di food delivery che si differenziano in base al tipo di servizio offerto:
– le semplici piattaforme, che si occupano della sola consegna a domicilio,
– i network di ristoranti, che funzionano da intermediari con il compito di “pubblicizzare” ristoranti o fast food.
Nello specifico, le piattaforme di sola consegna (come Foodora o Deliveroo) si occupano di prelevare l’ordine dal ristorante per consegnarlo direttamente all’utente, utilizzando personale e mezzi propri: la preparazione dei piatti, dunque, sarà affidata al ristoratore, mentre qualsiasi problema relativo all’ordine ed ai suoi tempi di consegna saranno nella totale responsabilità della piattaforma. Diversamente, i network sono piattaforme intermediarie (come Justeat) che offrono visibilità a ristoranti e fast food, essendo questi ultimi a doversi occupare sia della preparazione del cibo che della consegna al cliente; di conseguenza, sia la qualità dei prodotti che la velocità dei tempi di consegna e le sue modalità saranno gestiste unicamente dal ristoratore medesimo.
Va specificato, inoltre, che nel servizio di food delivery non va fatta rientrare la sola consegna a domicilio di cibi pronti, bensì anche tutti quei servizi che hanno ad oggetto la consegna di prodotti alimentari non finiti, quindi sia la consegna di ingredienti che la vera e propria spesa a domicilio (come nel caso di Amazon Prime Now).
2. Il nuovo mondo del food delivery: come aprire un ristorante virtuale
Il giro di affari italiano nel settore del food delivery ha generato, nello scorso anno, un fatturato complessivo di circa 500 milioni di euro. Un settore in crescita in cui rientrano a pieno titolo i cd. ristoranti virtuali, cioè cucine in cui vengono preparate le pietanze che saranno consegnate a domicilio.
• Come fare per aprire un ristorante virtuale?
Per chi già possiede un locale destinato alla ristorazione tradizionale, l’iter è molto semplice: basterà creare la nuova “insegna virtuale”, decidere il menù e affiliarsi ad una piattaforma di food delivery già esistente. L’attività da svolgere sarà, infatti, semplicemente quella di preparare piatti destinati all’asporto accanto a quelli destinati alla sala.
Se, invece, si opta per aprire un nuovo ristorante virtuale, senza quindi possederne già uno tradizionale, sarà necessario dedicarsi alla formazione e alla burocrazia. Bisognerà, infatti, svolgere un corso di formazione per il rilascio del cd. certificato Haccp (obbligatorio per tutte le imprese che operano a contatto con gli alimenti, che certifica la conoscenza di tutte le regole di igiene, conservazione e sicurezza) nonché presentare una SCIA sanitaria al comune in cui avrà sede il locale adibito alla preparazione degli alimenti.
Qualora il futuro ristoratore deciderà di eseguire anche le consegne a domicilio – perché si affilierà ad una piattaforma food delivery quale “mera intermediaria” -, alla SCIA sanitaria dovrà allegare anche la cd. “notifica sanitaria”, utile a regolarizzare l’attività di consegna di prodotti alimentari effettuata dai propri fattorini.
Vi sarà, inoltre, necessità dell’apertura di una P.Iva, con annesso codice ateco n. 56.10 (“Ristorante e attività di ristorazione mobile”) – e nel caso in cui il ristoratore si occuperà anche della consegna a domicilio, ci sarà bisogno di aggiungere al codice ateco suddetto un secondo codice, il n. 52.29.22 (servizio logistico relativo a distribuzione merci) collegato al 53.20 relativo ai servizi di consegna a domicilio.
Il ristorante virtuale – nuovo o già esistente che sia– potrà affiliarsi alla piattaforma di food delivery di suo interesse compilando, sul sito internet di riferimento, un apposito questionario. Per potersi garantire la permanenza nel circuito, il ristoratore dovrà versare alla piattaforma una quota mensile forfettaria o una provvigione in base agli scontrini emessi – e ciò a seconda dell’affiliato che sceglierà e delle sue modalità di esercizio quale intermediaria o meno.
3. Il nuovo mondo del food delivery: la figura del fattorino
Accanto al ristoratore, si pone una seconda figura professionale: il fattorino (o rider).
Prima dell’avvento della connettività diffusa, il fattorino lavorava come dipendente del ristorante in favore del quale eseguiva le consegne: la consegna a domicilio era semplicemente un servizio introdotto dall’esercizio commerciale con l’obiettivo di raggiungere un mercato che, altrimenti, non avrebbe potuto raggiungere.
L’ingresso delle piattaforme on-line ha radicalmente cambiato la struttura di tale tipologia di mercato, connettendo le 3 parti fondamentali in esso presenti:
– consumatore
– ristoratore
– fattorino
Quest’ultimo ha vissuto una forte emancipazione, da dipendente dell’esercizio commerciale a lavoratore – autonomo – operante per la piattaforma.
3.1 In che modo lavora un rider?
Verrebbe da dire che, nei tempi moderni, nel lavoro del fattorino riveste particolare importanza la tecnologia in quanto egli riceverà l’ordine di consegna tramite una notifica sullo smartphone o su di un device aziendale. Il rider si recherà verso l’attività commerciale, indicata dalla piattaforma, per prendere il cibo e consegnarlo al cliente finale.
Sulla base degli ordini ricevuti, il fattorino potrà organizzarsi come meglio crede, accorpando anche più consegne se lo ritiene necessario: sarà, però, obbligato a rispettare le tempistiche di consegna impartitegli ed a consegnare i prodotti ordinati garantendo il mantenimento della loro qualità.
3.2 Modalità di assunzione del fattorino
La maggior parte dei gruppi di food delivery non assume i fattorini come lavoratori subordinati ma li contrattualizza con contratti di lavoro autonomo.
Il rider, infatti, è tendenzialmente libero di accettare o rifiutare una consegna: nel caso accetti, verrà retribuito una volta portato a termine il lavoro; qualora rifiutasse, semplicemente, non avrà diritto ad alcuna paga.
La possibilità di rifiutare la prestazione di lavoro appare, dunque, l’elemento caratterizzante che distingue il lavoro dei fattorini dal lavoro subordinato e che giustificherebbe, quindi, l’esistenza di un contratto di lavoro autonomo.
Tuttavia, essere assunti come lavoratori autonomi, priva gli stessi di molti diritti tipici del lavoro subordinato. Ad esempio, essi non avranno diritto alla retribuzione minima prevista dal Ccnl, non avranno diritto a ferie e permessi retribuiti né alla tredicesima mensilità o al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali da parte del datore di lavoro.
Senza alcun dubbio, lavorare come autonomi conferisce maggiore possibilità di “organizzazione dei lavori”.
Ma lavorare su strada – con tutte le responsabilità ed i pericoli che ne possano conseguire – non dovrebbe richiedere una tutela un po’ più particolareggiata?
E se volessimo inquadrare i fattorini come lavoratori subordinati e non autonomi, che tipo di contratto potrebbe essere stipulato?
3.3 Cosa dice la legge?
La problematica dei riders è giunta sui banchi dei tribunali più di una volta.
Secondo la Corte d’Appello di Torino, che nel 2019 si è pronunciata nel caso Foodora, sarebbe corretto qualificare i rapporti di lavoro intercorrenti tra piattaforme food delivery e fattorini non come autonomi bensì come collaborazioni etero-organizzate, alle quali applicare la disciplina del lavoro subordinato, in quanto tali collaborazioni sarebbero caratterizzate da una forte coordinazione esterna da parte del committente.
Volendo, dunque, tener fede alle parole della Corte d’Appello torinese, parrebbe corretto individuare due possibili tipologie contrattuali quali oggetto del rapporto di lavoro in questione:
– contratto di lavoro intermittente o a chiamata,
– contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
Vediamone le caratteristiche.
a) Contratto di lavoro a chiamata o intermittente
Il contratto di lavoro a chiamata permette al datore di lavoro di “ricorrere” ai propri lavoratori per brevi periodi di tempo, in cui vi è particolare necessità. Lavoratore e datore possono concordare che il primo dia la propria disponibilità per un periodo di tempo determinato o indeterminato; sicuramente, però, esso non sarà obbligato “a prescindere” ad accettare la chiamata del datore di lavoro. L’obbligo di accettazione scatterà solo se le parti hanno concordato preventivamente un’indennità di disponibilità, cioè un compenso percepito dal lavoratore durante il periodo di inattività, ma che lo obbliga contrattualmente a rispondere alle chiamate tutte le volte che arrivano. Tale indennità è stabilita dal Ccnl e non può essere inferiore al 20% del minimo tabellare.
Di contro, le parti possono stabilire la non obbligatorietà dell’accettazione della chiamata: in tal caso, il lavoratore sarà libero di accettare o meno la chiamata di lavoro. Va da sé che il datore corrisponderà al lavoratore una paga pari alle ore lavorate, senza alcuna indennità per le ore di inattività.
Il rapporto di lavoro a chiamata è di tipo subordinato, dunque il lavoratore avrà diritto allo stesso trattamento di chi è dipendente in forma stabile e di pari ruolo – sia in merito alla retribuzione prevista dal Ccnl, inclusa la tredicesima, sia per quanto riguarda il Tfr ed i contributi previdenziali. Il tutto, ovviamente, calcolato in proporzione al lavoro effettivamente svolto.
Attenzione però, in quanto non è sempre possibile ricorrere a tale tipologia di contratto; e nello specifico:
– potrà essere stipulato solo con lavoratori che abbiano un’età inferiore a 24 anni o superiore a 55 – nel caso di lavoratore under 25, il rapporto di lavoro dovrà concludersi entro il 25esimo compleanno del lavoratore stesso;
– non potrà avere una durata superiore a 400 giornate nell’arco di 3 anni solari;
– non potrà essere stipulato per sostituire lavoratori in sciopero o in casi di licenziamento collettivo, sospensione o riduzione degli orari di lavoro o, infine, nel caso di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in materia di sicurezza sul lavoro.
b) Contratto di collaborazione coordinata e continuativa (Co.Co.Co)
Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa permette di inquadrare i lavoratori non come subordinati, bensì quali parasubordinati, cioè a metà strada tra il lavoro dipendente e il lavoro autonomo.
Il rapporto di lavoro si intende coordinato in quanto il lavoratore, pur godendo di autonomia organizzativa, sarà comunque tenuto a coordinare la propria attività lavorativa in base alle richieste del datore ed all’organizzazione dell’azienda. La collaborazione è, inoltre, continuativa in quanto prevede una serie di prestazioni lavorative reiterate nel tempo, oggetto del vincolo contrattuale che lega lavoratore e datore di lavoro; la mancanza di quest’ultimo requisito, “trasformerebbe” il rapporto di lavoro da Co.Co.Co a collaborazione occasionale.
Ai fini retributivi, nonostante si tratti di un lavoro parasubordinato e non subordinato, il datore di lavoro dovrà corrispondere al lavoratore la paga ad egli spettante su base periodica (quindi mensile), garantendo anche il versamento dei contributi previdenziali, nel modo seguente:
– 2/3 a carico del datore,
– 1/3 a carico del lavoratore;
l’obbligo di versamento spetterà al datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta, il quale tratterrà dalla busta paga anche la quota dovuta dal lavoratore.
3.4 Contratto di collaborazione occasionale
Accanto al contratto di lavoro a chiamata ed al contratto co.co.co, appare doveroso porre un ulteriore tipologia contrattuale: il cd. contratto di collaborazione occasionale.
Difatti, nonostante quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Torino nel 2019, le piattaforme di food delivery continuano a preferire per i propri fattorini una tipologia di inquadramento differente da quella subordinata o para-subordinata.
Il contratto di collaborazione occasionale prevede che un lavoratore autonomo svolga un’opera o un servizio in favore di un committente senza che vi sia alcun vincolo di subordinazione; il lavoratore non godrà di autonomia decisionale in merito alla prestazione lavorativa, in quanto questa sarà organizzata dal committente con riferimento sia a tempi che a luoghi di svolgimento.
Senza dubbio, quest’ultimo aspetto, come anche l’esonero dal pagamento dei contributi in favore del lavoratore (vista l’autonomia della sua attività), rendono l’inquadramento della collaborazione occasionale molto favorevole per il committente/datore di lavoro.
Ma attenzione!
Affinché vi sia davvero una prestazione occasionale, la collaborazione non dovrà essere continuativa, altrimenti rientrerà nella formula di lavoro subordinato – anche senza il raggiungimento dei 5.000 € di guadagni annui. Ciò che conta, quindi, sarà l’effettiva occasionalità con cui il fattorino opererà al servizio della piattaforma: a tal fine, con il JobsAct del 2015, è stato stabilito che la durata massima di un contratto di lavoro autonomo occasionale potrà essere di soli 30 giorni con lo stesso lavoratore, durante tutto l’arco di un anno.
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Il settore della ristorazione sta vivendo negli ultimi anni una trasformazione radicale. I ritmi di vita frenetica spingono sempre più i consumatori verso l’utilizzo dei servizi di food delivery. Ecco perché le consegne a domicilio si confermano come una nuova opportunità in termini di business.
Se vuoi entrare anche tu a far parte di questo nuovo mondo, sei nel posto giusto.
Dott.ssa Adriana Valentino