BUSINESS DIGITALE CON STABILE ORGANIZZAZIONE ESTERA E IL CONCETTO DI BRANCH EXEMPTION: GLI ERRORI DA NON FARE!
1. Cos’è una stabile organizzazione e quali sono i suoi requisiti
La nozione giuridico-legale di stabile organizzazione – nozione che permette di individuarne requisiti e limiti – ha subito importanti modifiche nel corso degli ultimi anni.
Partendo dalla mera definizione che ne dà il Tuir all’art. 162, capiamo che per stabile organizzazione s’intende una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita, in tutto o in parte, la sua attività sul territorio dello Stato che la ospita.
La locuzione “sede fissa” va intesa come apparato strumentale, cioè fisicamente tangibile, situato in maniera durevole nel territorio dello Stato. La sede fissa, inoltre, può essere definita “d’affari” in quanto la stabile organizzazione, all’interno di quel medesimo territorio, andrà ad esercitare un’attività di tipo commerciale/imprenditoriale.
Attenzione ad un dato particolarmente importante, molto spesso dimenticato: la stabile organizzazione è soggetta alle imposizioni tributarie del Paese che la ospita, ovvero del luogo in cui essa ha sede, non avendo alcuna importanza la residenza del soggetto che ne possiede la proprietà o il controllo.
Proviamo a capire questo concetto con un esempio: un imprenditore italiano, titolare di un’azienda situata nel territorio italiano, decide di costituire una stabile organizzazione in Germania. Bene! Quella stabile organizzazione verrà regolamentata secondo le regole fiscali tedesche e non certo italiane!
Compreso, in linea generale, cosa sia una stabile organizzazione, proviamo ad elencare e schematizzare i requisiti fondamentali utili a identificare un’azienda come tale:
a) come anticipato, l’entità deve avere una sede di affari,
b) la sede deve essere statica, ovvero godere di una stabilità territoriale e spaziale,
c) l’impresa non residente deve svolgere la propria attività all’interno del territorio dello Stato ospitante per mezzo della sede (fissa) d’affari ivi stabilita. Attenzione: non sarà mai possibile esercitare tutta l’attività d’impresa attraverso una stabile organizzazione, lasciando la parte meno rilevante dell’attività stessa alla società madre residente in Italia (!!);
d) è necessario che vi sia un soggetto preposto, una persona fisica referente – meglio se residente nello Stato in cui viene costituita la stabile organizzazione,
e) la sede di affari deve essere utilizzata in modo costante e permanente dall’impresa non residente, in quanto vi deve essere uno stretto collegamento tra la sede e il luogo geografico in cui il business viene effettivamente svolto. In altri termini, non basterà una domiciliazione presso una sede virtuale, perché l’attività d’impresa, oggetto della stabile organizzazione, deve essere concretamente esercitata nel territorio in cui essa viene ubicata.
Qualora venissero meno i requisiti su detti, non sarà più possibile parlare di “stabile organizzazione” bensì di semplice “ufficio di rappresentanza”, che ovviamente non permette lo svolgimento di attività imprenditoriali.
2. Positive list & Negative list
In quali casi un’azienda può essere considerata stabile organizzazione? Quali caratteristiche devono sussistere affinché questo avvenga?
L’art. 162 Tuir, nei commi che la compongono, disciplina i casi in cui un’azienda possa qualificarsi o meno come stabile organizzazione attraverso le cd. negative liste e positive liste.
Nello specifico, rientrano nella negative list tutte le fattispecie al verificarsi delle quali un’azienda non può configurarsi come stabile organizzazione, ovvero quando essa:
a) viene utilizzata una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione, o di consegna di beni o merci appartenenti all’impresa,
b) i beni o le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna (ad esempio, magazzino Amazon),
c) i beni o le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra azienda,
d) una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini di acquisto di beni o merci, oppure di raccolta informazioni,
e) viene utilizzata per svolgere, in favore dell’impresa, qualsiasi altra attività che abbia carattere preparatorio o ausiliario,
f) viene utilizzata per una qualsivoglia combinazione delle attività citate ai punti precedenti.
Diversamente, rientrano nella positive list tutti i casi in cui è possibile considerare una azienda quale stabile organizzazione, ovvero quando essa:
a) possiede una sede di direzione,
b) una succursale,
c) un ufficio,
d) un’officina,
e) un laboratorio,
f) una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali.
Ovviamente, l’elenco non preclude la possibilità che altre fattispecie, non espressamente menzionate, possano dar luogo ad una stabile organizzazione, in quanto le norme di legge si limitano a disciplinare le fattispecie in astratto, mentre gli accertamenti avvengono in concreto, in base a comportamenti effettivamente tenuti (a partire dai quali è possibile capire se sussistono effettivamente i presupposti per parlare di stabile organizzazione o meno!)
3. La stabile organizzazione virtuale
Con la legge di bilancio 2018 la positive list ha visto l’aggiunta di una nuova fattispecie di stabile organizzazione, la cd. stabile organizzazione virtuale, nata con riferimento alle imprese digitali, ovvero quelle che svolgono un’attività d’impresa attraverso il web (e-commerce, self publishing e così via).
Secondo l’art. 162 comma 2 lett. f-bis, la stabile organizzazione virtuale si identifica in una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costituita in modo tale da non far risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso.
Come è possibile intuire dall’appena menzionata definizione, con il concetto di stabile organizzazione virtuale vi è un abbandono del fondamentale collegamento che deve sussistere tra attività d’impresa e territorio affinchè si possa parlare di stabile organizzazione.
Non solo.
Viene abbandonato il concetto fondante di “presenza economica” dell’azienda all’interno del Paese in cui essa “dovrebbe” esercitare il proprio business.
Il nuovo dettato normativo, dunque, pare riferito a due casistiche, ovvero:
1. ad un imprenditore estero, che lavora ed esercita in Italia senza stabile organizzazione
oppure
2. ad un imprenditore italiano, che vorrebbe operare all’estero con stabile organizzazione.
Entrambe realtà possibili, certo.
Ma ATTENZIONE, perché possono crearsi situazioni che, se non studiate a fondo, rischiano di dar luogo ad errori nell’applicazione di esenzioni fiscali, perché non realmente spettanti ad una determinata realtà aziendale.
Usare tattiche, trucchi e strumenti artificiosi per sfruttare una migliore normativa fiscale, ottenendo vantaggi indebiti perché si decide di prescindere dalla sostanza della attività economica effettivamente svolta, può mettere l’imprenditore dinanzi a seri rischi.
È impensabile – se non anche illecito – credere di poter ottenere particolari vantaggi fiscali senza l’osservanza di regole: ogni beneficio, qualunque esso sia, per essere sfruttato deve veder realizzate innumerevoli condizioni, e commettere errori può comportare conseguenze negative che andranno a ricadere (inevitabilmente) sia sulla sfera societaria che su quella personale degli amministratori.
4. Due diversi metodi di trattamento fiscale
Quando parliamo di stabile organizzazione, dobbiamo sapere che esistono due diverse metodologie di trattamento fiscale ad esse applicabili:
• credito imposta e
• branch exemption
Il primo prevede lo scomputo di quanto già pagato nello Stato ospitante, versando la restante parte in Italia (situazione poco conveniente quando lo Stato ospitante ha una imposizione fiscale più bassa).
La branch exemption, invece, consiste nel non assoggettare a tassazione italiana i redditi prodotti all’estero, ove – naturalmente – imputabili alla stabile organizzazione estera (in altri termini, non è possibile imputare in UK redditi prodotti in Germania). Dunque, i redditi esteri non dovranno essere inclusi nell’imponibile della casa madre, in quanto saranno redditi tassati solo nello Stato in cui si trova la stabile organizzazione.
Va da sé comprendere come la branch exemption possa essere molto favorevole, soprattutto se la tassazione del paese estero è più bassa di quella italiana.
Ma come qualsiasi altro strumento competitivo sotto l’aspetto fiscale, anche la branch exemption presenta particolari caratteristiche e limiti.
Analizziamo prima le sue caratteristiche.
La branch exemption:
a) è esercitabile su base opzionale (diversamente, il criterio sarà quello del credito di imposta),
b) è uno strumento irrevocabile,
c) si applica a tutte le stabili organizzazioni della società madre,
d) la disciplina prevede una regolamentazione particolare nel caso in cui le stabili organizzazioni siano localizzate in paradisi fiscali (in tali casi si applicherà le CFC rules),
e) il reddito imputabile e i criteri di determinazione del reddito devono essere indicati separatamente, sia nella dichiarazione dei redditi sia nel bilancio della società madre,
f) non è possibile computare alla società madre eventuali perdite.
Quali sono, invece, i suoi limiti?
a) tassazione integrale del plusvalore in caso di cessione di ramo d’azienda – qualora si parlasse, invece, di una controllata, sarà possibile optare per la partecipation exemption con plusvalenza tassata solo per il 5%,
b) la responsabilità sia patrimoniale sia legale ricade tutta sulla società madre e sui suoi amministratori, in quanto la branch non è una entità giuridica separata,
c) i requisiti utili a beneficiare della branch exemption devono essere rispettati pedissequamente, poiché la dissimulazione è sanzionata e punita molto severamente.
Dunque, scegliere se costituire una nuova società estera figlia o una stabile organizzazione – per poi optare per la branch exemption – è cosa complessa e che richiede tante valutazioni, non solo sotto l’aspetto fiscale, ma anche dal punto di vista industriale, commerciale e produttivo prefisso nel lungo periodo, considerando, inoltre (e soprattutto), che l’opzione ha carattere di irrevocabilità.
Ponderiamo bene le nostre azioni, nonché tutti i rischi connessi ad una scelta fiscale opportunistica!
Avv. Carlo Alberto Micheli
Dott.ssa Adriana Valentino