ESONERO TFR E TICKET LICENZIAMENTO PER LE IMPRESE IN FALLIMENTO
1. Società in fallimento o in amministrazione straordinaria
Le società in fallimento o in amministrazione straordinaria, destinatarie negli anni 2019 e 2020 di provvedimenti di cassa integrazione straordinaria (CIGS), e limitatamente ai lavoratori ammessi all’integrazione salariale, sono esonerate dal pagamento delle quote di accantonamento del TFR relative alla retribuzione persa dei lavoratori a seguito della riduzione oraria e dal versamento del ticket di licenziamento.
È quanto stabilito dagli articoli 44 e 43-bis del decreto legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2018, n. 130.
Gli esoneri sono riconosciuti per gli anni 2020 e 2021 nel limite di spesa, cumulativo per entrambe le misure, di 16 milioni di euro per ciascun anno.
L’INPS, con il messaggio n. 3920 del 26 Ottobre 2020 fornisce anche già le istruzioni operative per accedere agli sgravi.
A seguire, specificherò cosa è la cassa integrazione straordinaria, il Tfr e il Ticket di licenziamento.
2. Cassa integrazione guadagni straordinaria
La CIGS è un ammortizzatore sociale che interviene a sostegno di imprese e lavoratori in possesso di determinati requisiti e al presentarsi di precise condizioni di difficoltà o di sospensione temporanea del lavoro a fronte di eventi strutturali, ristrutturazione aziendale o ricorso a contratti di solidarietà.
La Cassa Integrazioni Guadagni Straordinaria è concessa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed erogata dall’INPS ad alcune imprese, per evitare licenziamenti e chiusura di stabilimenti e attività produttive.
Per fruire del sussidio è necessario che il lavoratore abbia maturato un’anzianità aziendale di almeno 90 giorni presso di un’azienda destinataria della normativa CIGS (D.lgs 148/2015).
La CIGS spetta a operai, impiegati, quadri, soci e non soci di cooperative di produzione e lavoro, dipendenti dalle seguenti aziende, che abbiano occupato mediamente più di 15 dipendenti, inclusi apprendisti e dirigenti, nel semestre precedente la presentazione della domanda, ovvero:
a) imprese industriali, comprese quelle edili e affini;
b) imprese artigiane che procedono alla sospensione dei lavoratori in conseguenza di sospensioni o riduzioni dell’attività dell’impresa che esercita l’influsso gestionale prevalente;
c) imprese appaltatrici di servizi di mensa o ristorazione, che subiscano una riduzione di attività in dipendenza di situazioni di difficoltà dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale;
d) imprese appaltatrici di servizi di pulizia, anche se costituite in forma di cooperativa, che subiscano una riduzione di attività in conseguenza della riduzione delle attività dell’azienda appaltante, che abbia comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento straordinario di integrazione salariale;
e) imprese dei settori ausiliari del servizio ferroviario, ovvero del comparto della produzione e della manutenzione del materiale rotabile;
f) imprese cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e loro consorzi;
g) imprese di vigilanza;
La CIGS spetta inoltre a operai, impiegati, quadri, soci e non soci di cooperative di produzione e lavoro, dipendenti delle seguenti imprese che abbiano occupato mediamente più di 50 dipendenti, inclusi apprendisti e dirigenti, nel semestre precedente la presentazione della domanda, ovvero:
a) imprese esercenti attività commerciali, comprese quelle della logistica;
b) agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici;
La CIGS spetta anche alle seguenti categorie, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati:
a) imprese del trasporto aereo e di gestione aeroportuale e società da queste derivate, nonché imprese del sistema aeroportuale;
b) partiti e movimenti politici e loro rispettive articolazioni e sezioni territoriali, nei limiti di spesa definiti annualmente.
La durata del trattamento straordinario di integrazione salariale, non può superare di 24 mesi in un quinquennio mobile (conteggiando anche la CIGO). Utilizzando la CIGS per causale contratto di solidarietà tale limite complessivo può essere portato a 36 mesi in quanto la durata dei contratti di solidarietà viene computata nella misura della metà per la parte non eccedente i 24 mesi. Per le imprese industriali e artigiane dell’edilizia e affini e per le imprese di cui all’art. 10, comma 1, lettere n) e o), per ciascuna unità produttiva, il trattamento straordinario di integrazione salariale (CIGS+CIGO) non può superare la durata massima complessiva di 30 mesi in un quinquennio mobile.
3. Trattamento di fine rapporto (TFR)
Il trattamento di fine rapporto, sigla TFR, detto anche liquidazione, corrisponde ad una porzione di retribuzione destinata al lavoratore subordinato e differita alla cessazione del rapporto di lavoro. Viene accantonata mensilmente dal datore di lavoro ed erogata dallo stessa in sede di ultimo cedolino paga in corrispondenza dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Sono assoggettati alla disciplina del TFR tutti i lavoratori del settore privato, e lavoratori del settore pubblico, limitatamente alle categorie rientranti nel cosiddetto pubblico impiego contrattualizzato assunti dopo la data del 31/12/2000.
Il TFR viene erogato in tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro, qualunque ne sia la ragione: licenziamento individuale, licenziamento collettivo, dimissioni.
La legge riconosce ai lavoratori subordinati il diritto di percepire un trattamento di fine rapporto, ai sensi dell’articolo 2120 del codice civile, il quale stabilisce che:
• Garanzia del TFR: «In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni»;
• Rivalutazione del TFR (4° e 5° comma): «è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente»;
• Anticipazione del TFR: «Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70% sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta.
Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10% degli aventi titolo, di cui al precedente comma, e comunque del 4% del numero totale dei dipendenti. La richiesta deve inoltre essere giustificata dalla necessità di:
◦ a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
◦ b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato da contratto preliminare (compromesso) o atto notarile di compravendita.
L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti dal trattamento di fine rapporto. Nell’ipotesi di cui all’art. 2122 la stessa anticipazione è detratta dall’indennità prevista dalla norma medesima. Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali.
I contratti collettivi nazionali di lavoro possono altresì stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle richieste di anticipazione».
Tale trattamento, come si accennava, rappresenta un vero e proprio compenso differito al momento della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di favorire al lavoratore il superamento delle difficoltà economiche connesse con il venir meno della retribuzione.
Se l’azienda fallisce o attiva altre procedure dovute ad inadempienze, al momento dell’interruzione del rapporto di lavoro e perciò all’erogazione del Tfr, l’INPS garantisce per il soggetto privato e paga la somma dovuta. Non esiste analoga garanzia per i contributi pensionistici mentre per i salari arretrati, limitatamente alle ultime tre mensilità, è prevista la garanzia da parte dello stesso Fondo presso l’INPS (D.Lgs. 27.01.1992 n. 80).
4. Ticket licenziamento
Il ticket licenziamento è dovuto in misura identica a prescindere dalla tipologia di lavoro, part-time o full-time. È uno dei chiarimenti dell’INPS contenuti nella circolare n. 40 del 2020, che fornisce un quadro riepilogativo delle tipologie di cessazione del rapporto di lavoro per le quali è obbligatorio il versamento del ticket, compresa l’ipotesi di risoluzione per scivolo pensionistico nell’ambito del contratto di espansione. Il contributo è interamente a carico del datore di lavoro e va calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale, ovvero, nello specifico per l’anno 2020, è pari a 503,30 euro (41% di 1.227,55 euro) per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni (l’importo massimo del contributo è pari a 1.509,90 euro – arrotondato alle 2 cifre – per rapporti di lavoro di durata pari o superiore a 36 mesi)
Il contributo va versato esclusivamente qualora il rapporto di lavoro sia stato a tempo indeterminato e si sia concluso per un motivo non imputabile al lavoratore.
A seguire riporto le tipologie di cessazione, alle quali consegue il versamento del contributo aggiuntivo Ticket, entro il mese successivo alla cessazione, e comunque non oltre il giorno 16 del secondo mese successivo al licenziamento.
a) Licenziamenti
Tutte le tipologie di licenziamento ricadono nell’obbligo del c.d. ticket NASpI:
· licenziamento per giustificato motivo soggettivo;
· licenziamento per giusta causa;
· licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In maniera “impropria”, l’INPS evidenza l’erogazione del contributo NASpI anche all’ipotesi di licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione, di cui all’articolo 6 del Decreto Legislativo n. 23/2015. Ricordo che l’offerta conciliativa viene prevista successivamente all’avvenuto licenziamento (indipendentemente dalla tipologia) e non ne cambia il titolo, rimane a tutti gli effetti un “licenziamento.
b) Dimissioni
Le classiche dimissioni volontarie non sottostanno ovviamente a questa regola, ma vi rientrano le dimissioni per giusta causa e quelle avvenute durante il periodo tutelato di maternità.
Un dipendente si può dimettere per giusta causa quanto il datore per almeno tre mesi non ha pagamento la retribuzione; se dimostra aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro; a subito notevoli variazioni peggiorative nelle condizioni di lavoro; è stato spostato da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”, previste dall’art. 2103 codice civile; ha subito un comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico o addirittura mobbing.
Le dimissioni intervenute durante il periodo tutelato di maternità sono rese da 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del figlio.
c) Altre forme di risoluzione
Rientrano, a buon diritto, nelle tipologie di risoluzione del rapporto di lavoro, per le quali il datore di lavoro è tenuto a versare il contributo NASpI anche le seguenti, in quanto fanno acquisire il diritto al lavoratore a percepire l’indennità NASpI:
• recesso del datore di lavoro durante o al termine del periodo di prova, previsto dall’articolo 2096 del codice civile;
• recesso, da parte del datore di lavoro, al termine del periodo di apprendistato, così come previsto dall’articolo 42, comma 4, del Decreto Legislativo n. 81 del 2015;
• risoluzione consensuale, e cioè quando le parti decidono, congiuntamente, di risolvere il rapporto di lavoro.
Elisa Turini
Consulente del Lavoro