Staking al 26% – Nuovo interpello cripto lo qualifica come reddito da capitale
La remunerazione per lo svolgimento di attività di staking – la “validazione diffusa” nell’ambito dei processi blockchain – è da considerare «reddito di capitale» (articolo 44 del Tuir) e come tale deve essere tassata alla fonte dal sostituto d’imposta (26%).
Non è un reddito diverso, non va tassato ad aliquota marginale e la collaborazione allo staking non è una attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente.
Questo è quanto affermato dalla Direzione Centrale Piccole e medie imprese delle Entrate mediante un lungo interpello (n. 956-771/2022).
Ancora una volta, difronte all’inattività del legislatore interviene l’autorità amministrativa a fare chiarezza e a mettere ordine.
Io personalmente mi trovo d’accordo con questa impostazione e se devo spezzare una lancia a mio favore, sono due anni che parlo di tassazione staking al 26% e non ad aliquota marginale come dicono molti miei colleghi. Ma quelli sono i migliori del pianeta e quindi chi sono io per aver alzato la manina e detto la mia?
Sono Carlo Alberto Micheli, Avvocato e Dott. Commercialista, creatore del percorso CRYPTOTAX, le tue monete virtuali in regola con il fisco.
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Che cosa fa quindi quest’ultimo interpello?
Il quale partito da una richiesta di una start up umbra, CryptoSmart e attiva su diversi servizi, dal custodial all’exchange allo staking chiedeva appunto come trattare i proventi derivanti da staking.
Con quest’ultimo interpello l’agenzia ribadisce tutto quanto si è costruito a partire dalla causa 264-14.
- Non imponibilità iva operazioni relative a criptovalute
- Assimilazione crypto alle valute estere sotto il profilo fiscale (non giuridico)
- Applicazione art. 67, comma 1-ter per le cessioni a pronti
- Differenza di applicazione tra cessione a pronti e a termine
- Giacenza dei sette giorni lavorativi a 51.645,69 tasso cambio 1/1 per la rilevanza fiscale operazioni
Nuovo interpello cripto: e lo staking?
Mentre la start-up lo inquadrava come una forma di remunerazione e di conseguenza rientrante nella categoria dei redditi diversi, l’agenzia li ha configurati quali redditi di capitale.
Secondo la circolare 165/E/98 per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente << l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito». Quindi non solo i «frutti civili» dell’articolo 820 del codice civile «ma anche tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale».
A questo punto, potremmo fare altresì un passo avanti e non limitarci allo staking, ma anche alle attività di mining.
Potremmo far rientrare anche questi proventi nei redditi di capitale?
A mio avviso vanno valutati molti parametri e molte caratteristiche su come l’attività viene effettivamente esercitata. E lo dico ora, ci sono mollte ipotesi, e decine dei miei clienti possono confermarlo di aver trattato in questo modo anche proventi di mining.
Ultima domanda? L’imposta al 26% si paga indipendentemente dal prelievo oppure a fine anno si fa il calcolo di quanto generato in staking e si applica l’imposta?
Anche questo dipende dalle circostanze, io credo che per tassare serva un reddito certo, effettivo e attuale e non quantità di monete rappresentative di un valore indiretto.
Vi ho dato la mia risposta che è la stessa che sostengo da più di due anni. Qualora intervenissero altre modifiche io sono qua e ne parlo e magari dico anche di aver aggiornato le mie posizioni, chi lo sa.
Perche io sono io e gli altri? Sono solo i più famosi e i migliori di Italia.
Ah, se lo sono detti da soli?
Ciao ragazzi, alla prossima.
Avv. Carlo Alberto Micheli